Quando si è costretti a dire «No!»

Ad alcuni può sembrare strano, ad altri poco professionale o addirittura contrario all’attitudine del buon consulente, però a volte capita, è capitato e sono sicuro che capiterà ancora di dover rispondere «No!» alla richiesta di un Cliente.

Sono svariate le circostanze che possono condurre un consulente a rispondere con un diniego, più o meno deciso, pur sapendo che potrebbe perdere l’incarico o, nella peggiore delle ipotesi, lo stesso Cliente, e vorrei qui condividere alcuni casi che l’esperienza mi ha fatto vivere.

Il primo si riferisce a quelle richieste per rispondere alle quali il professionista dovrebbe direttamente tenere dei comportamenti o effettuare degli atti contrari a norme di legge, dunque illegali, o alla morale o ancora all’etica. 

I casi sono molteplici e non peregrini e spaziano dalla corruzione di un funzionario pubblico per l’ottenimento di un indebito vantaggio all’impiego di personale dipendente senza regolare contratto di lavoro, dalla distruzione di rifiuti speciali contaminanti attraverso l’impiego di un comune inceneritore alla modifica arbitraria (e criminale) della data di scadenza di medicinali ad uso umano, dall’acquisto di diamanti senza la richiesta documentazione prevista dal Kimberly Process alla produzione in serie di false fatture per gonfiare i costi di progetti realizzati in Paesi ad economia emergente.

Come si può ben capire, ognuno di questi esempi apre condotte contrarie alle norme legali vigenti che possono allo stesso tempo confliggere con l’etica e la morale.

Ogni consulente, nell’esercizio della sua attività, è libero di accontentare il proprio Cliente ma, per quanto mi riguarda, dinanzi alla legge, alla morale e all’etica, deve prevalere la libertà di poter rispondere «No!».

Un secondo ambito può, invece, ricomprendere le situazioni in cui la richiesta del Cliente si palesa in un contesto le cui condizioni sono completamente contrarie al buon fine dell’attività che si intendono realizzare.

Come per i casi precedenti, anche qui l’esperienza presenta una variegata gamma di possibili cause di rifiuto: non aver preso in considerazione la confessione religiosa maggioritaria in una regione per l’avvio di un particolare progetto di allevamento, così come l’impossibilità di rifornirsi a costi accessibili di batterie ricaricabili indispensabili all’uso di alcuni apparecchi elettrici, la mancanza di dati statistici attendibili sul personale con formazione accademica in cerca di occupazione per la proposta di un percorso di alta formazione, così come la scarsa presenza di attività commerciali in un territorio tali da non consentire la creazione di un benché minimo cluster, la prevalente cultura aziendale refrattaria all’adozione di qualsiasi innovazione foss’anche per agevolare il lavoro di tutti, così come la miopia suicida della prima linea.

Anche questo capitolo avrebbe potuto arricchirsi di ulteriori capitoli, ma ho preferito limitarmi ad alcuni titoli di mie personali esperienze sul campo che, però, sono convinto siano stati capaci di evocare casi analoghi.

Una terza e, per il momento, ultima categoria abbraccia quelle fattispecie, di certo residuali, dove il consulente deve riconoscere di non avere le competenze tecniche per assolvere in maniera adeguata alla necessità del Cliente: rispondere «No!», in questi casi, dovrebbe essere un imperativo categorico dettato dall’onestà intellettuale del professionista che riconosce il suo limite e con correttezza rifiuta l’incarico e, se possibile, indica la strada alternativa da seguire e il collega cui rivolgersi.

Giovani consulenti che non possiedono l’esperienza di condurre grandi progetti complessi, o esperti di cardiochirurgia cui viene richiesto di partecipare a delicati interventi ricostruttivi, professionisti delle politiche di sviluppo rurale che si ritrovano all’interno di team in progetti di riqualificazione urbana, avvocati che sovrintendono la costruzione di impianti idrici.

Una nuova e lunga serie di «No!» che depone a favore del consulente e salvaguarda la sua reputazione, e la sua salute. 

Abbiamo visto una vasta serie di situazioni nelle quali, almeno dalla mia personale esperienza, un consulente, qualunque sia l’ambito in cui opera, farebbe meglio a rispondere «No!» alle richieste del suo Cliente.

Ma nella realtà di tutti i giorni, ne siamo capaci? Abbiamo il coraggio di palesare i nostri valori o la nostra ignoranza e perdere un incarico? Siamo disposti a contrariare il nostro Cliente o ne siamo schiavi?
Un tema su cui continuare a confrontarsi per crescere.