L’Unione Europea è formata da 27 Stati membri, lo sappiamo, e questa varietà rappresenta la sua ricchezza più importante.
Ciò che spesso ci sfugge, invece, è che la transnazionalità è uno dei requisiti fondamentali che viene valutato dalla Commissione Europea al momento di esaminare una proposta di progetto da finanziare.
Ma cosa si intende con questo termine? Ogni progetto deve prevedere la partecipazione di organizzazioni provenienti da tutti i 27 paesi? O bastano alcuni rappresentanti? O magari bisogna valutarne la ricaduta su scala europea? O ancora avviarne la realizzazione in più nazioni?
Il vocabolario Treccani alla voce “transnazionale” ricorda che questa è una qualità “che trascende le singole nazioni o ne supera le divisioni, o si estende oltre i limiti di una nazione”.
Dunque, un progetto europeo per assolvere al requisito della transnazionalità deve trascendere i limiti di un singolo Stato membro.
Nel caso specifico, ciò si riferisce alla composizione del partenariato di progetto, vale a dire alla nazionalità dei partner coinvolti nella realizzazione delle differenti attività con compiti e responsabilità precise.
Quindi un progetto risulta transnazionale quando i partner provengono da differenti Stati membri, o ammessi o associati.
Sono i regolamenti degli specifici programmi e gli inviti a indicare limiti e dimensioni della transnazionalità nella forma, per esempio, “almeno due paesi che siano Stati membri o paesi terzi associati al programma” (tratto dal Regolamento del Programma Erasmus +).
A questa prima indicazione, però, aggiungo subito che la transnazionalità è legata a doppio filo ad altri caratteri dei progetti quali:
- il valore aggiunto europeo;
- il partenariato;
- l’effetto moltiplicatore;
- la coerenza e la complementarietà.
Tutti ugualmente essenziali, tutti fortemente correlati.