Licia e l’era dell’esperienza

Non posso negare di essere innamorato della Toscana. Se ne avessi l’opportunità mi ci trasferirei anche domani.

Le ragioni di questo legame profondo sono molteplici. Ma per lo scopo del post di oggi voglio raccontarvi di Licia.

Quando mia figlia aveva poco meno di due anni, con mia moglie e i miei cognati facemmo una bellissima vacanza in un agriturismo vicino a Buonconvento (in provincia di Siena).

Un giorno chiedemmo al gestore di suggerirci un posto dove mangiare. E lui, con qualche cenno di indicazione per raggiungerla, ci consigliò Licia.

Certi di aver capito dove si trovava, ci avviammo.

Le strade della Toscana in estate profumano di pino, rosmarino e lavanda. Ma il caldo del mezzogiorno può scioglierti il cervello.

Mia moglie, di origini inglesi, dice “mad dogs and Englishmen go out in the midday sun” (solo i cani pazzi e gli inglesi escono sotto il sole di mezzogiorno).

Mia moglie e sua sorella sono inglesi, evidentemente io e mio cognato eravamo parte della categoria “cani pazzi”. E così ci ritrovammo a girare per le strade di un borgo toscano alla ricerca di un ristorante introvabile, di nome Licia, sotto il solleone, con una bambina di due anni al seguito.

Dopo aver percorso senza successo due o tre volte le stradine del minuscolo paesello, cotti dal sole, ci fermammo in uno slargo poco dopo una breve discesa. Proprio sul lato opposto, evidentemente sul lato meridionale, era seduto su una sedia di plastica un signore, anziano, che si godeva l’ombra delle case.

Come una carovana sperduta nel deserto, quasi con il timore di rompere il silenzio e la sua tranquillità, ci avvicinammo per chiedere se sapesse dove fosse il ristorante “da Licia”.

“Licia?” ripeté quello con forte accento toscano saltando in piedi. “Ma Licia l’è la mi moglie”.

“Licia!” urlò correndo via verso una porta chiusa da una tenda a frange di plastica “Licia, vieni a vedere cosa vogliono questi signori”.

Dall’oscurità della bottega dietro la soglia in cui l’uomo era scomparso uscì una donna di bassa statura con i capelli bianchi.

“Buon giorno ci manda Gianni…”. Dicemmo con un certo imbarazzo, pensando di essere caduti in una burla del nostro ospite.

Quasi come se ci fossimo rivolti alla fata di Cenerentola, in un attimo, all’ombra, dove fino a poco prima si stava godendo la tranquillità l’anziano signore, fu apparecchiata una tavola con tovaglie bianche, pane sciocco, acqua e una caraffa di vino, mentre la donna si allontanava con passo affrettato in una stradina laterale per andare a prendere “qualcosina” dall’orto.

Chiedemmo se era possibile avere della pasta per mia figlia e poi degli affettati per noi altri.

Arrivò su un vassoio una montagna di pasta all’olio, un bancale di affettati misti con verdure dell’orto appena colte, cipolle, pomodori ancora caldi del sole, melone, e formaggi vari.

Il fatto che io ricordi ancora il sapore dell’olio e della cipolla la dice lunga sui sapori e gli odori che deliziarono il nostro palato quel giorno.

La dice anche lunga sul valore dell’esperienza.

Un’esperienza non consiste solo nel soddisfare un bisogno (nello specifico mangiare), ma ha un prima e un dopo infarciti di emozioni e sensazioni primitive che tessono la trama di un ricordo indelebile.

Il viaggio che facciamo fare al nostro cliente quando gli vendiamo i nostri servizi o prodotti non inizia quando gli mettiamo in mano qualcosa di nostro e non termina quando esce dal nostro negozio.

È un viaggio, appunto, non la “nostra” destinazione. Non dobbiamo vendere la meta, ma offrire un percorso che inizia con il riconoscere un bisogno e termina… il più tardi possibile, lasciando un ricordo indelebile e memorabile.

Il digitale permette di estendere e rafforzare il reale. Dilata il momento prima e dopo l’evento. Ne allarga gli orizzonti portandolo lontano nello spazio e nel tempo.

Licia non ha fatto uso di particolari tecnologie. Ha solo fatto ciò che andava fatto per compiacere i propri ospiti. Noi abbiamo il vantaggio di avere nuove tecnologie che ci proiettano più lontano, ma dobbiamo saper apparecchiare la tavola nel modo giusto. E questo non si improvvisa.